Liceo Classico "Don Cavina" Randazzo

2014/03/12


Raccolta di nove racconti scritta dal celebre Isaac Asimov. Fa parte del famosissimo ‘ciclo dei robot’ dell'autore russo. Ambientazione extraterrestre e tanta tecnologia. Protagonisti della storia sono i robot positronici e le ‘tre leggi della robotica’:

  •  Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.
  • Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.
  • Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge. 

Dopo quasi un secolo dalla creazione del primo robot, la gente fatica ad accettare questi automi preferendo vivere in pianeti lontani e lasciando che si occupino delle mansioni più faticose: dal lavorare in miniera a gestire le stazioni interstellari, sempre sotto la stretta supervisione degli umani. Ma cosa rende questo libro particolare? Tema fondamentale è in che modo i robot si rapportano alle tre leggi e come gli umani interagiscono con essi. L'umanità  non riesce  ad accettarli e li ‘snobba’, ritenendoli inferiori malgrado essi abbiano migliorato di gran lunga la qualità della loro vita. I racconti  iniziano con la dott.ssa Susan Calvin, robot-psicologa, che fin da ragazzina studia il comportamento e i 'sentimenti' degli automi e i fatti si svolgono, tra varie peripezie e scene che sfiorano la comicità, toccando momenti della sua vita. La fantasia di Asimov è sorprendente. Basti pensare che questi racconti, già nel periodo della seconda guerra mondiale, narrano di stazioni spaziali, automi autosufficienti e uso di vari elementi presenti in pianeti come Mercurio, elaborando anche un sistema con cui autoalimentare le macchine e utilizzare pannelli fotovoltaici. Un ‘classico’, quindi, da non perdere. Il genio di Asimov e la sua brillante narrazione non possono che coinvolgere il lettore, anche il meno appassionato del genere.

Francesca Ferretti

Posted on mercoledì, marzo 12, 2014 by Unknown

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“Il mondo giallo” è il primo libro di Albert Espinosa, uno dei più famosi scrittori e registi spagnoli. L’autore racconta in questo libro alcuni episodi della sua giovinezza segnata dalla malattia.  Nonostante ciò Albert “possiede un senso dell’umorismo speciale, proprio come il suo modo di vivere la vita” e infatti non c’è nulla di doloroso in queste pagine. Con un linguaggio semplice e lineare, l’autore riesce a introdurre concetti apparentemente semplici, ma realmente molto complessi. Il libro è diviso in quattro parti: per cominciare, per continuare, per vivere, per riposare. Inizialmente l’autore parla del mondo giallo, il suo mondo, un mondo a portata di tutti, “un posto caldo, dove i baci possono durare dieci minuti, dove gli sconosciuti possono diventare i tuoi più grandi alleati, dove la paura perde significato, dove la vita è un bene prezioso”, e questo mondo è fatto di lezioni, in determinati momenti della vita, che vengono chiamate  “scoperte”; in tutto ventitré, proprio come i gialli che ognuno di noi possiede. I gialli sono quelle persone che “si collocano tra gli amici e gli amori. Non è necessario vederli spesso, ma si interagisce con loro attraverso i gesti d’affetto”.Da questo libro Espinosa ha poi tratto una fiction spagnola “Pulseras rojas”, i cui diritti sono stati acquistati dalla Rai e da Palomar, che ne hanno tratto una fiction di Rai 1, “Braccialetti Rossi”, con la regia di Giacomo Campiotti. Questa fiction è riuscita a delineare il rapporto che intercorre tra i gialli: sei ragazzi decidono di formare un gruppo all’interno di un ospedale, i Braccialetti Rossi, tra loro si instaura un legame che va oltre l’amicizia, ma che non è amore, un legame giallo, contrassegnato dalla presenza di un braccialetto rosso al polso di ognuno di loro. Nel gruppo sono presenti: Leo, il leader, un ragazzo a cui è stata amputata una gamba a causa di un tumore; un vice-leader, Vale, affetto dallo stesso tumore del primo; la ragazza, Cris, malata di anoressia; il bello, Davide, ragazzino affetto da una malattia al cuore; l’imprescindibile (quello che non può mancare mai), Rocco, bambino in coma; e il furbo, Tony, un ragazzino che ha avuto un incidente con la moto. Leo corrisponde ad Albert, sia per la sua malattia, sia per il suo carattere ironico e coraggioso; mentre Vale, pur avendo lo stesso problema non ha l’esperienza e la voglia di vivere di Leo, ma è un ragazzo dolce e sensibile. Cris è la ragazza contesa tra i due, un po’ capricciosa e indecisa, ma che alla fine riuscirà a prendere una decisione. Davide è un ragazzino che vuole predominare sui suoi coetanei, ma all’interno dell’ospedale si rende conto dei suoi errori e decide di rimediare. Infine Rocco e Tony, strettamente legati perché Tony riuscendo a sentire cose che gli altri non sentono, sente anche la voce di Rocco, nonostante il suo sonno. Il gruppo segue le “scoperte” che Espinosa rivela nel suo libro: durante la loro permanenza in ospedale perdono l’amico Davide, ma questo insegna a tutti loro che “le perdite sono positive e possono diventare delle conquiste. Quando perdi qualcosa, convinciti che non stai perdendo, ma stai guadagnando una perdita”. Infatti i ragazzi decidono di dividersi la vita di Davide, ad ognuno toccherà il 20% della sua età, “un patto indimenticabile, straordinario; comunque fosse andata avremmo continuato a vivere attraverso gli altri”. Questa persona sarebbe sempre stata dentro di loro e tutti avrebbero tentato di rendergli giustizia. Alla fine i ragazzi riescono a tornare a casa, tranne Rocco, appena svegliatosi. Resteranno in ospedale ancora un po’ Leo e Albert. Guardando quel braccialetto rosso, nel cuore di tutti resterà il ricordo di un’amicizia unica. Una storia commovente ma anche con quel pizzico di ironia da far emozionare col sorriso sulle labbra.

Miriana Tornatore

Posted on mercoledì, marzo 12, 2014 by Unknown

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Il 2014, da pochi mesi, ha fatto il suo ingresso. Iniziano le scommesse su cosa andrà di tendenza in questo nuovo anno. La risposta, però, sembra non provenire da fashion houses o aziende informatiche. Ecco cosa andrà di moda: avere sempre meno conoscenze umanistiche. La crisi economica, che da molto tempo grava sull’Italia, pare stia interessando anche questo settore. Nelle settimane scorse impazzava sul web la notizia che sarebbe stata eliminata la Storia dell’Arte dagli istituti italiani. Stessa sorte, a distanza di pochi giorni, per altre materie umanistiche tra cui la filosofia. Molte le forme di protesta. Il Ministero dell’Istruzione subito smentisce e l’ex ministro  Carrozza nega tutto su Twitter. La notizia, però, non è nuova. Niente che già non si sapesse. Le ore di insegnamento di Storia dell’Arte, infatti, erano già state ridotte nel 2008 dalla Riforma Gelmini nei licei classici e  artistici e negli istituti professionali.La notizia del febbraio 2014 si è dunque rivelata una bufala, che ha permesso, tuttavia, di riflettere sulla poca importanza che in Italia e in altri Stati viene attribuita a tale disciplina. Il presidente degli Stati Uniti, in visita a un impianto della General Electric, afferma: «I ragazzi dovrebbero imparare i lavori manuali, vanno incoraggiati in questa direzione, perché pagano bene e spesso sono più utili di una laurea in Storia dell’Arte». Levata di critiche dal mondo letterario, il presidente si scusa. La mancanza di prospettive lavorative è ciò che rende l’opinione comune così critica nei confronti dell’ambito umanistico, che progressivamente sta perdendo valore.I dati parlano chiaro: le iscrizioni ai licei classici negli ultimi anni sono drasticamente diminuite.Lo Stato dovrebbe, però, rendersi conto che la cultura è il petrolio e la ricchezza dell’Italia. Bisognerebbe, dunque, valorizzare di più il patrimonio culturale e farlo apprezzare ai giovani, perché a rendere ‘persona’ è tutto il sapere


Chiara Iraci

Posted on mercoledì, marzo 12, 2014 by Unknown

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2014/03/07

“Mille splendidi soli” è un romanzo di Khaled Hosseini, l’autore de “Il cacciatore d’aquiloni” e “E l’eco rispose”. È stato pubblicato da Edizioni Piemme nel 2007 e tradotto da Isabella Vaj. Il romanzo racconta di due donne diverse, Mariam e Laila, in una terra tormentata dalla guerra, l’Afghanistan. Proprio ‘grazie’ a questa guerra che fa scempio, le vite di queste due ragazze s’intrecciano in una condivisione di esperienze e affetti. Mariam, una ‘harami’ (figlia illegittima) è stata cresciuta da una madre che ha sempre creduto ci fosse una solo abilità per le donne afghane, il ‘tahamul’ (la sopportazione), e che l’istruzione non le sarebbe mai servita. Laila, chiamata ‘la ragazza rivoluzionaria’ perché  nata la notte del colpo di stato dell’aprile 1978, é una ‘pari’. La sua famiglia ha mentalità più aperta e il  padre ha sempre sostenuto che la cosa più importante fosse darle un’istruzione poiché «una società non ha nessuna possibilità di progredire se le sue donne sono ignoranti». Nel momento in cui si trovano a sfuggire un crudele destino, tra le due donne si stabilisce una forte intesa, che all’inizio mancava forse a causa della diversa educazione ricevuta e delle diverse storie vissute. Lo scrittore trascina il lettore in un vortice di emozioni, a volte rabbia ma anche speranza quando vince la forza dell’amicizia e dell’amore. Ci mostra un Afghanistan che, al di là degli orrori della guerra e della violenza, il lettore finirà per amare, immergendosi nelle tradizioni e nelle abitudini del suo popolo; un popolo che, pur nella sua semplice quotidianità, manifesta carattere e tanta voglia di risollevarsi dalle macerie. Nel libro, si racconta anche la dura realtà della donna afghana, sottomessa all’autorità maschile, costretta a indossare il burqa e a non mostrare il viso in nessuna circostanza, soggetta a divieti di ogni tipo, che la privano della sua stessa identità, negandole ogni ruolo sia fuori che dentro casa. Un libro consigliato perché denso di colpi di scena e di emozioni forti, incredibilmente coinvolgente e imprevedibile e soprattutto profondo. «Non si possono contare le lune che brillano sui suoi tetti, né i mille splendidi soli che si nascondono dietro i suoi muri».
Michela Guidotto

Giulia Mannino

Posted on venerdì, marzo 07, 2014 by Unknown

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Padova, 10/02/2014- Una quattordicenne si suicida lanciandosi dall'ultimo piano  di un  vecchio albergo a Cittadella, nel padovano. Allarmati da un biglietto che la ragazzina aveva lasciato alla nonna, i genitori si sono subito recati sul luogo del suicidio, ma ormai era troppo tardi. Ma cosa può aver spinto una quattordicenne a farla finita così?
Scrive "La Stampa": « Frasi, parole, insulti pesanti come un macigno digitati con una cattiveria a cui è difficile trovare un senso». Questo fenomeno, spesso sottovalutato, si chiama cyberbullismo. Succede quando i social network diventano vere e proprie ‘piazze dell'odio’ in cui i bulli, forti del loro anonimato, sfogano tutta la loro cattiveria. La vittima di cyberbullismo si sente costantemente rintracciabile e per verificare eventuali minacce o insulti le è sufficiente collegarsi a qualsiasi mezzo elettronico utilizzato dal cyberbullo. Gli esiti di queste molestie senza fine possono essere terribili e ispirare nella vittima addirittura tendenze suicide. Proprio come è successo a Nadia, che è stata ‘incapace’ di sopportare il peso gravoso di questi insulti. Non è da escludere che  frasi del genere possano in qualche modo aver trasformato le paure e le insicurezze tipiche dell'adolescenza in certezze. Nadia aveva provato a cercare sicurezza negli amici su Ask.fm: dai post emergeva il silenzioso grido di aiuto della ragazza; un grido d'aiuto che nessuno ha ascoltato. Adesso, nel mirino degli inquirenti, c'è il sito Ask.fm già sotto accusa in Inghilterra, su richiesta del primo ministro David Cameron, dopo un caso analogo. Le più alte istituzioni italiane si sono pronunciate sull'argomento, sostenendo la necessità di un uso più controllato dei social network. Ma come mai bisogna sempre aspettare tragedie simili per intervenire? L'uso controllato dei mezzi elettronici dovrebbe essere accompagnato da una campagna di sensibilizzazione volta a dimostrare ai ragazzi quanto male possano provocare se, in rete, si trasformano in un branco sadico. Quando si è in rete, infatti, spesso non ci si rende conto di quello che si può provocare e di conseguenza si scrivono cose che, probabilmente, non si direbbero mai. Stavolta, però, le istituzioni sembrano determinate a mantenere le promesse fatte. Infatti, qualche giorno fa, è stato aperto presso il  Policlinico Gemelli di Roma il primo ambulatorio che si propone di stroncare il fenomeno del  cyberbullismo.  L’ambulatorio, nato dalla collaborazione fra l’ospedale e la polizia postale, si occuperà, non solo delle vittime, ma anche dei bulli. Scopo di questo duplice intervento, infatti, spiegano gli esperti, è  da un lato quello di aiutare le vittime e dall'altro quello di rendere i bulli consapevoli del danno da loro commesso. In conclusione, non resta che augurarsi che tale attività contro il cyberbullismo abbia seguito e che possa essere efficace in modo che casi come quello di Nadia non si verifichino più.

Flavia Di Silvestro

Posted on venerdì, marzo 07, 2014 by Unknown

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