di Giulia Mannino

L’uomo parla da sempre. Il suo bisogno di parlare si manifesta sin da quando è  un neonato. Dapprima, tramite il pianto e strumenti non-verbali, indica, combina suoni e impara a capire se hanno effetto. Poi, con i balbettii, le prime parole: smette di indicare, capisce che ogni oggetto ha il suo nome e comincia a costruire le prime frasi. Così, pian piano, acquisisce sempre più vocaboli. Crescendo, il bambino non solo impara a parlare, bensì a scegliere le parole. In cosa sta la differenza? Imparare a parlare significa conoscere i nomi degli oggetti, i verbi, formulare una frase in modo corretto; scegliere le parole significa sapere come usarle per esprimere al meglio i pensieri che si vogliono comunicare. L’arte di sfruttare le parole giuste a proprio favore, infatti, è da sempre stata al centro di molte filosofie della civiltà greca e successivamente romana. Esprimere al meglio i nostri pensieri, il pensiero, il lògos, fa pensare ai filosofi greci. Eraclito denominava ciò che riteneva il principio di tutte le cose, ossia il fuoco, lògos, perché  primo  principio fisico di tutte le cose e  legge universale che le governa. E come non pensare ai sofisti? L’importanza della parola nella filosofia è una delle grandi scoperte dei sofisti, i maestri della retorica. Se per Eraclito il lògos é legge divina, universale ed in fieri, che governa il divenire di tutta la realtà, per i sofisti esso diventa un vero e proprio strumento di persuasione. La retorica, la dialettica, l’antilogica e l’eristica sono tutte arti che, in qualche modo, fanno sì che il sofista prevalga sull’interlocutore. La “parola sofistica” combatte per la propria tesi, vera o falsa che sia. La parola ci distingue dagli altri esseri viventi. Ogni singola parola che pronunciamo è importante: possiamo dire la stessa cosa, ma con parole diverse; possiamo con essa evocare immagini, scenari; possiamo influenzare gli altri ed è proprio nel momento in cui interagiamo con gli altri che ci  rendiamo conto di quanto importante sia la parola. Il discorso politico è forse quello che  rappresenta meglio il potere del linguaggio. Con i loro discorsi articolati, specie durante le campagne elettorali, i politici tentano di convincere i cittadini e ci riescono. Ciò che si ascolta sembra vero e possibile, ma accade spesso che le promesse fatte si rivelino solo “parole su parole”. Un ruolo importante, naturalmente, la parola ha poi nella scuola perché ciò che i giovani apprendono dipende in parte dal modo in cui viene loro insegnato. La parola ci rende liberi ma senza dimenticare che “la nostra libertà finisce dove inizia quella degli altri”. È vero che le parole sono armi da sfruttare a proprio vantaggio, ma proprio in quanto armi possono ferire. Dobbiamo sempre ricordarci che il nostro interlocutore è una persona, degna di rispetto tanto quanto lo siamo noi. Insulti, rimproveri, litigi, minacce sono tutte forme di violenza verbale, problema da non sottovalutare: i traumi psicologici talora possono fare più male di quelli fisici e rivelarsi più duraturi. Immaginiamo che le parole siano dei semi: dobbiamo fare molta attenzione in quello che piantiamo, perché quando questi semi cresceranno, metteranno radici nelle persone in cui li abbiamo piantati. Mi sembra particolarmente adatta una frase di Nelson Mandela: “Non è mia abitudine usare le parole con leggerezza. Se 27 anni di carcere mi hanno insegnato qualcosa, è che il silenzio della solitudine ci può far capire quanto sono preziose le parole e quanto davvero possono cambiare il modo in cui le persone vivono e muoiono”. Davvero meraviglioso e vasto il mondo delle parole: possiamo sceglierne in grande quantità e, senza ferire, usarle per dare forma ai nostri pensieri.