di Sara Sariti 


 

Il più famoso fra gli eremiti d’Egitto, il padre incontrastato del monachesimo fu Antonio: “Quel glorioso Antonio che rese il deserto una palestra di virtù per gli asceti”. Dai greci era chiamato Antonios o Comphaios cioè Antonio il grande, il sommo, il primo e anche Monastòn Archegòs cioè guida dei monaci. Nacque da genitori cristiani benestanti intorno al 250-251, nella media valle del Nilo, probabilmente nel villaggio di Coma, Kiman-al-Arus dei nostri giorni. Dopo la morte dei genitori, una domenica dell’anno 270-271 nel corso della messa ascoltando le parole del Vangelo di Matteo decide di seguirle alla lettera, donando i propri averi ai poveri e cercando un luogo dove vivere in stato di privazione. Il diavolo cerca di ostacolarlo nella sua scelta di vita, ma Antonio con la preghiera e la penitenza risulterà vittorioso. Per tredici anni soggiorna in una tomba, dove le potenze dell’inferno si scatenano includendo anche la violenza fisica. Successivamente prende la via del monte Pisfir, a est del Nilo andando ad abitare in un fortino abbandonato, dove si fermerà per vent’anni, guarendo molti che pativano nel corpo e liberando altri dal demonio. In questo periodo Antonio conosce il formarsi di gruppi di eremiti e anacoreti che volevano seguire le sue norme di vita ed emulare le sue pratiche ascetiche. L’eremita diventerà “abate” cioè padre spirituale di molti monaci. Il desiderio della solitudine diventa sempre più forte e Antonio si reca ai piedi del monte Qoltzum o Coltzum venti miglia a ovest del Mar Rosso. E qui l’ eremita comincia“a rivoltare la terra, a seminare, a irrigare, a coltivare ortaggi, a procurarsi il pane”.Molti discepoli si insediano non lontano dalla sua cella. Antonio avrà molte visioni, compirà molti miracoli, lotterà per la difesa della fede. Avvisato della sua morte il patriarca volle vedere i suoi figli spirituali per l’ultima volta. Il 7 gennaio 356 sollevandosi da terra e guardando gli angeli discesi dal cielo, spirò e si unì ai suoi padri, a centocinque anni dalla sua nascita e quarantaquattro da quando aveva trovato rifugio sul fianco del monte Coltzum.
Il culto del Santo varcò ben presto i confini dell’Egitto e si diffuse in Oriente e in Occidente. Sant’Eutimio il Grande (377-473) eremita, egùmeno (abate), fece celebrare la festa di Antonio in Palestina il 17 gennaio, e fu imitato da Costantinopoli. In Occidente la festa appare segnata il 17 gennaio nel Martirologio geronimiano, erroneamente attribuito a S. Girolamo e in quello del venerabile Beda. I resti mortali di Antonio non riuscirono a riposare in pace. Secondo la Leggenda di Teofilo:“L’imperatore Costanzo aveva una figlia tormentata da nove demoni. Preghiere, esorcismi, tutto inutile. I demoni dichiarano che avrebbero lasciato il corpo della ragazza solo alla vista del corpo di Antonio. Il vescovo Teofilo si reca in Egitto e dopo una rivelazione che indica il luogo della sepoltura, con l’aiuto di due leopardi disseppellisce la tomba e scoperchia il sepolcro. Alla vista del corpo, i demoni fuggono via”.A causa dell’invasione saracena, il corpo del Santo fu traslato nel 635 da Alessandria a Costantinopoli.
“Nel secolo XI l’imperatore Alessio Comnenio donò il corpo al conte francese Jocelin di Chateau Neuf in pellegrinaggio in Terra Santa e portò le reliquie nel Delfinato. Nel 1070 il nobile Guigues de Didier fece costruire una piccola cappella votiva nel villaggio di La Motte, dove vennero riposte le reliquie, che nel 1119 saranno collocate nella Chiesa di Sant’Antonio nella diocesi di Vienna. Dal 1419 le reliquie si trovano nella chiesa parrocchiale di S.Giuliano ad Arles. La fama di guaritore per Antonio ebbe inizio quando due nobili che sostenevano di essere stati guariti dall’ergotismo o febbre bruciante o male degli ardenti o fuoco sacro o fuoco di Sant’Antonio, costruirono un hospitium e fondarono una confraternita per l’assistenza dei pellegrini e dei malati. La confraternita si trasformerà nell’Ordine Ospedaliero dei Canonici Regolari di Sant’Agostino di Sant’Antonio Abate detto comunemente degli Antoniani. Venne approvato da Papa Urbano II al concilio di Clermont nel 1095 e confermato con Bolla papale da Onorio III nel 1218”.