Liceo Classico "Don Cavina" Randazzo

2014/12/18

di Flavia Di Silvestro

È da poco trascorsa la "Giornata Mondiale per l'eliminazione della violenza sulle donne" celebrata ogni anno il 25 Novembre, ma sono ancora molte le piazze italiane le cui vetrine sono ricoperte di immagini di scarpe rosse: possono essere ballerine, stivali o persino sneakers, non ha alcuna importanza è sufficiente che siano rosse; rosse come quelle che indossò l'artista Elina Chauvet in occasione di un'installazione artistica pubblica in Texas nel luglio del 2012, per ricordare le centinaia di donne uccise nella città messicana di Juarez, diventate simbolo della lotta mondiale contro la violenza sulle donne.
Una battaglia, questa, la cui fine è ancora lontana, così sembra, alla luce dei recenti dati ʻsfornatiʼ dal Ministero dell'Interno che fotografano la situazione al 31 luglio di quest'anno. Infatti, è stato registrato un preoccupante aumento rispetto all'anno precedente, dato che diventa ancora più allarmante se consideriamo che il 2013 era già stato definito ʻanno neroʼ per le donne. Rilevati aumenti sia dei casi di violenza che di quelli di assassinio nonostante l'introduzione di nuove norme. Se gli omicidi in generale calano, quelli delle donne fanno eccezione, visto che sono 153 quelle uccise quest'anno (quattro in più rispetto al 2013). Vittime soprattutto mogli e fidanzate: 72 le donne uccise dai propri compagni dall'agosto 2013 al luglio del 2014 (27 in più rispetto ai 12 mesi precedenti). È sconcertante come ancora oggi, mentre la medicina fa passi da gigante nel debellare le malattie più terribili, la principale causa mondiale di morte per le donne di età compresa fra i 16 e i 60 anni sia la violenza in famiglia! Inutile cercare di sminuire il fenomeno con frasi del tipo:  «la violenza domestica non è poi così diffusa» o ancora: «nel mio quartiere gli episodi di violenza domestica sono rari», la violenza domestica è di fatto parecchio frequente a tutti i livelli sociali e spesso non riconosciuta come tale, anche perché i segni di questi soprusi possono essere facilmente camuffati con semplici e insospettabili scuse. Inoltre, tale forma di violenza viene spesso sottovalutata sulla base del proprio vissuto, per esempio: una donna che sin da piccola è stata abituata a rispettare il ruolo dei genitori ʻa suon di schiaffiʼ, è  maggiormente portata a giustificare il marito violento come se vedesse nelle percosse una sorta di manifestazione d'amore. Da questa concezione prende le mosse la neonata campagna di sensibilizzazione promossa  dal Dipartimento per le Pari Opportunità con il contributo della Commissione europea, intitolata #cosedauominiL'obiettivo dell'iniziativa è naturalmente quello di porre un freno alla violenza di genere, ma affronta la tematica in maniera del tutto innovativa, rivolgendosi per la prima volta al mondo maschile nella convinzione che un mutamento di mentalità sia necessario per arginare il fenomeno della violenza sulle donne. Sicuramente un'iniziativa positiva per rendere possibile, anche in un'epoca di provvedimenti lenti e spesso contraddittori, il cambiamento.

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di Giulia Mannino

L’uomo parla da sempre. Il suo bisogno di parlare si manifesta sin da quando è  un neonato. Dapprima, tramite il pianto e strumenti non-verbali, indica, combina suoni e impara a capire se hanno effetto. Poi, con i balbettii, le prime parole: smette di indicare, capisce che ogni oggetto ha il suo nome e comincia a costruire le prime frasi. Così, pian piano, acquisisce sempre più vocaboli. Crescendo, il bambino non solo impara a parlare, bensì a scegliere le parole. In cosa sta la differenza? Imparare a parlare significa conoscere i nomi degli oggetti, i verbi, formulare una frase in modo corretto; scegliere le parole significa sapere come usarle per esprimere al meglio i pensieri che si vogliono comunicare. L’arte di sfruttare le parole giuste a proprio favore, infatti, è da sempre stata al centro di molte filosofie della civiltà greca e successivamente romana. Esprimere al meglio i nostri pensieri, il pensiero, il lògos, fa pensare ai filosofi greci. Eraclito denominava ciò che riteneva il principio di tutte le cose, ossia il fuoco, lògos, perché  primo  principio fisico di tutte le cose e  legge universale che le governa. E come non pensare ai sofisti? L’importanza della parola nella filosofia è una delle grandi scoperte dei sofisti, i maestri della retorica. Se per Eraclito il lògos é legge divina, universale ed in fieri, che governa il divenire di tutta la realtà, per i sofisti esso diventa un vero e proprio strumento di persuasione. La retorica, la dialettica, l’antilogica e l’eristica sono tutte arti che, in qualche modo, fanno sì che il sofista prevalga sull’interlocutore. La “parola sofistica” combatte per la propria tesi, vera o falsa che sia. La parola ci distingue dagli altri esseri viventi. Ogni singola parola che pronunciamo è importante: possiamo dire la stessa cosa, ma con parole diverse; possiamo con essa evocare immagini, scenari; possiamo influenzare gli altri ed è proprio nel momento in cui interagiamo con gli altri che ci  rendiamo conto di quanto importante sia la parola. Il discorso politico è forse quello che  rappresenta meglio il potere del linguaggio. Con i loro discorsi articolati, specie durante le campagne elettorali, i politici tentano di convincere i cittadini e ci riescono. Ciò che si ascolta sembra vero e possibile, ma accade spesso che le promesse fatte si rivelino solo “parole su parole”. Un ruolo importante, naturalmente, la parola ha poi nella scuola perché ciò che i giovani apprendono dipende in parte dal modo in cui viene loro insegnato. La parola ci rende liberi ma senza dimenticare che “la nostra libertà finisce dove inizia quella degli altri”. È vero che le parole sono armi da sfruttare a proprio vantaggio, ma proprio in quanto armi possono ferire. Dobbiamo sempre ricordarci che il nostro interlocutore è una persona, degna di rispetto tanto quanto lo siamo noi. Insulti, rimproveri, litigi, minacce sono tutte forme di violenza verbale, problema da non sottovalutare: i traumi psicologici talora possono fare più male di quelli fisici e rivelarsi più duraturi. Immaginiamo che le parole siano dei semi: dobbiamo fare molta attenzione in quello che piantiamo, perché quando questi semi cresceranno, metteranno radici nelle persone in cui li abbiamo piantati. Mi sembra particolarmente adatta una frase di Nelson Mandela: “Non è mia abitudine usare le parole con leggerezza. Se 27 anni di carcere mi hanno insegnato qualcosa, è che il silenzio della solitudine ci può far capire quanto sono preziose le parole e quanto davvero possono cambiare il modo in cui le persone vivono e muoiono”. Davvero meraviglioso e vasto il mondo delle parole: possiamo sceglierne in grande quantità e, senza ferire, usarle per dare forma ai nostri pensieri.


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2014/12/11

di Rita Calabrò

Il giardino dei ciliegi di Anton Čechov è andato in scena dal 21 novembre al 7 dicembre 2014 al Teatro Stabile di Catania. Traduzione e regia a cura del direttore stesso del teatro, Giuseppe Dipasquale.
La scena è ambientata in Russia dove la tranquillità di una famiglia aristocratica è minata dalla morte del figlio minore. A seguito di ciò, la madre Ljubov’Andreevna Ranevskaja, chiamata semplicemente Liuba, scappa in Francia dove verrà raggiunta dalla figlia Anja. Dopo esser rimaste a Parigi per circa 3 anni e aver scialacquato tutti i propri averi, le due donne decidono di ritornare nel paese natale. A causa dei debiti contratti il giardino, che delimita l’area intorno la casa, rischia di essere messo all’asta. Ad avere un ruolo predominante è proprio il giardino che, nella prima parte dello spettacolo, si configura come un protagonista invisibile, ma che via via prenderà forma fino a quando, nel terzo atto, i suoi tronchi saranno presenti in scena. Il giardino rappresenta il passato, i debiti e i tormenti dell’anima dei personaggi. Quindi, nel momento in cui esso viene venduto insieme a tutta la casa, i protagonisti sentiranno morire dentro sé una parte di loro stessi, ma poi proveranno un senso di liberazione mentre si aprono loro nuove vie nei meandri della vita.
Oltre al senso del tempo e all’importanza rivestita dall’infanzia in contrasto con l’amarezza e le disillusioni che animano l’età adulta, un altro tema presente nella commedia è l’emancipazione dei servi della gleba in Russia, che solo grazie ad Alessandro II erano riusciti ad ottenere delle libertà. A tal proposito, significativo è il personaggio di Ermolaj Alekseeviè Lopachin, il cui padre era stato schiavo della famiglia di Liuba. Egli, grazie alle nuove libertà concesse, ha la possibilità di riscattare se stesso e i suoi avi. In virtù della propria determinazione, riesce ad arricchirsi e non a caso sarà proprio lui a comprare all’asta il giardino dei ciliegi. Questo inatteso finale simboleggia da un lato il declino dell’aristocrazia, dall’altro l’ascesa dei nuovi proprietari terrieri, gli ex servi della gleba che, dopo secoli di soprusi e di angherie, possono finalmente riacquistare la propria dignità.
Curiosità: “Il giardino dei ciliegi” nasce come una commedia, ma già i registi, che per primi ne curarono la messa in scena nel 1909 , andarono a marcare il carattere amaro della vicenda, oscurando gli elementi di farsa. Ciò fece irritare Anton Čechov, ma effettivamente, nel corso del Novecento, anche altri registi preferirono dare maggior rilievo al carattere tragico.
Nello spettacolo a cura di Giuseppe Dipasquale si evince invece un perfetto equilibrio tra il comico e il tragico.
Un elemento che molto colpisce lo spettatore è la scelta di far interpretare tutti i personaggi da attori che dimostrano più anni rispetto a quelli effettivi di ogni personaggio. Un caso emblematico è costituito da Anja e Varja, le figlie di Liuba, rispettivamente di diciassette e ventiquattro anni, interpretate da attrici di età maggiore. Gli unici due personaggi che vengono rappresentati giovani sono i camerieri Duniaša e Jaša: la prima che sogna ad occhi aperti l’amore, il secondo amante della vita in ogni sua sfaccettatura. Entrambi sono gli unici che non soffrono e non sono tormentati, a differenza di tutti gli altri dei quali non si rispetta l’età, quasi a voler sottolineare come i pesi e le angosce che turbano la loro anima causano un invecchiamento precoce.

Posted on giovedì, dicembre 11, 2014 by Unknown

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di Giulia Mannino

I 161 paesi membri dell’Unesco, durante la riunione del 24 Novembre, tenutasi a Parigi, hanno votato all’unanimità: la vite ad alberello dello Zibibbo, coltivata nell’isola di Pantelleria, entra a far parte del patrimonio dell’umanità. Grande la soddisfazione del ministro Maurizio Martina, titolare delle politiche agricole. Tale coltivazione avviene con la creazione di buche nel terreno, profonde circa 20 centimetri, nel cui interno il vigneto prende forma di piccoli alberelli. Prima pratica agricola riconosciuta dall’Unesco e sesto bene italiano con tale riconoscimento, è un trionfo per la bellissima isola e le sue secolari tradizioni.

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di Giulia Mannino

Era la notte tra il 2 e il 3 Dicembre 1984 quando una cisterna di oltre 40 tonnellate di isocianato di metile, esplodendo in una fabbrica americana di pesticidi, riversava nella città di Bophal, in India, una nube tossica. Migliaia furono le morti immediate e, strettamente legate all’evento, altrettante le vittime successive. Fu considerata la più grande catastrofe industriale di tutti i tempi e, nonostante siano passati ben 30 anni, la situazione non sembra essere cambiata: nei vent’anni successivi al disastro è aumentato il tasso di mortalità e pare che i prodotti chimici, ancora presenti nel complesso abbandonato, continuino a inquinare l’area a causa della mancanza di interventi di bonifiche.

Posted on giovedì, dicembre 11, 2014 by Unknown

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di Flavia Di Silvestro

Si chiama Ghoncheh Ghavami ed è un'attivista anglo-iraniana da poco laureata in legge. Per la ragazza l'incubo ha inizio lo scorso 20 giugno quando si reca, insieme ad altre donne, a vedere una partita di volley maschile (in Iran la pallavolo maschile è preclusa alle donne dal 2012). Tutte arrestate, picchiate e poi rilasciate ma lei nuovamente arrestata con l'accusa di legami con l'opposizione. In carcere fa più volte sciopero della fame, suscitando l'attenzione internazionale. Da poco, la famiglia, citata dalla BBC, ne ha annunciato la liberazione su cauzione.

Posted on giovedì, dicembre 11, 2014 by Unknown

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2014/12/02

di Anna Bagiante


 

Paolo Vagliasindi nasce nel 1838 a Randazzo. Appassionato d’arte, d’antichità classica e uomo di infinita generosità.
Per merito suo, infatti, è possibile il riscatto del Convento dei Cappuccini donato da lui stesso ai Frati, dopo che nel 1866 era stato incamerato dallo Stato, a seguito delle leggi per le corporazioni religiose. Ma il suo nome è legato alla città per un altro accaduto molto fortunato e un po’ leggendario. Tutto inizia, quando una contadina lavorando nel feudo di S. Anastasia (che si trova nella pianura ai piedi dell’Etna e si estende verso l’Alcantara presso il paese di Mojo), proprietà del Vagliasindi a circa 6 km da Randazzo, trova casualmente un piccolo oggetto d’oreficeria, che consegna al proprietario della terra. Paolo, capendone l’origine, inizia una prima serie di scavi. Diffusasi la notizia, la Direzione delle Antichità di Palermo prende contatti con il Vagliasindi e da allora sono condotte regolari campagne di scavi nel territorio di S. Anastasia e Mischi, dirette nel 1889 da Salinas, che vede poco a poco emergere una vera e propria necropoli, identificata come Tissa e citata da Cicerone nelle Verrine.
Vent’anni dopo Paolo Orsi fa ulteriori scavi con i quali vengono alla luce altre tombe e corredi funebri, monete, vasi greci e di produzione corinzia, anfore, utensili, gioielli, statuette, hydrie, reperti di produzione ionica, ceramiche di produzione attica risalenti al V sec. a.C. e stamnoi, pissidi, lekani del IV secolo.
Come per legge, alcuni oggetti vengono ceduti al Museo Nazionale di Palermo e a quello Archeologico di Siracusa.
Paolo Vagliasindi rifiuta ogni offerta ricevuta per vendere la collezione, soprattutto per la cessione del bellissimo e raro oinochoe, vaso per la mescita del vino in terracotta, con figure rosse su sfondo nero e raffigurante il mito di Fineo e le Arpie. Il Vagliasindi vuole fortemente che la collezione da lui ritrovata resti a Randazzo e così al prezioso tesoro destina una sala del suo palazzo, rendendola pubblica ai visitatori.
Nel 1904 la collezione Vagliasindi è esaminata di nuovo e catalogata dal Museo Nazionale di Roma.
Alla morte di Paolo Vagliasindi, nel 1913, la collezione rimane al figlio Vincenzo, ma è seriamente danneggiata dai bombardamenti del 1943 che distruggono quasi il palazzo; molti pezzi vengono distrutti o rubati. Tutta la refurtiva è recuperata con la sola perdita di un “helikes”in lamina aurea a testa d’ariete e di qualche moneta; alcuni pezzi vengono recuperati dalle macerie dai Padri Cappuccini del vicino convento.
Negli anni ’60 la collezione è esposta in una sede provvisoria presso la Casa di riposo di Randazzo. Solo nel 1997, quando gli eredi affidano il museo all’Amministrazione Comunale, i pezzi vengono catalogati e restaurati, ma quelli distrutti dai bombardamenti mai rimessi a nuovo. I pezzi interi e d’inestimabile valore trovano finalmente dimora nel Castello Svevo (costruito per volere di Federico II di Svevia) presso il quartiere di S. Martino.
A Paolo Vagliasindi si deve una collezione antica, lasciata e custodita a Randazzo per le generazioni future che ne raffigura importanti eventi storici e ne racconta antiche origini.

Posted on martedì, dicembre 02, 2014 by Unknown

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di Sara Sariti 


 

Il più famoso fra gli eremiti d’Egitto, il padre incontrastato del monachesimo fu Antonio: “Quel glorioso Antonio che rese il deserto una palestra di virtù per gli asceti”. Dai greci era chiamato Antonios o Comphaios cioè Antonio il grande, il sommo, il primo e anche Monastòn Archegòs cioè guida dei monaci. Nacque da genitori cristiani benestanti intorno al 250-251, nella media valle del Nilo, probabilmente nel villaggio di Coma, Kiman-al-Arus dei nostri giorni. Dopo la morte dei genitori, una domenica dell’anno 270-271 nel corso della messa ascoltando le parole del Vangelo di Matteo decide di seguirle alla lettera, donando i propri averi ai poveri e cercando un luogo dove vivere in stato di privazione. Il diavolo cerca di ostacolarlo nella sua scelta di vita, ma Antonio con la preghiera e la penitenza risulterà vittorioso. Per tredici anni soggiorna in una tomba, dove le potenze dell’inferno si scatenano includendo anche la violenza fisica. Successivamente prende la via del monte Pisfir, a est del Nilo andando ad abitare in un fortino abbandonato, dove si fermerà per vent’anni, guarendo molti che pativano nel corpo e liberando altri dal demonio. In questo periodo Antonio conosce il formarsi di gruppi di eremiti e anacoreti che volevano seguire le sue norme di vita ed emulare le sue pratiche ascetiche. L’eremita diventerà “abate” cioè padre spirituale di molti monaci. Il desiderio della solitudine diventa sempre più forte e Antonio si reca ai piedi del monte Qoltzum o Coltzum venti miglia a ovest del Mar Rosso. E qui l’ eremita comincia“a rivoltare la terra, a seminare, a irrigare, a coltivare ortaggi, a procurarsi il pane”.Molti discepoli si insediano non lontano dalla sua cella. Antonio avrà molte visioni, compirà molti miracoli, lotterà per la difesa della fede. Avvisato della sua morte il patriarca volle vedere i suoi figli spirituali per l’ultima volta. Il 7 gennaio 356 sollevandosi da terra e guardando gli angeli discesi dal cielo, spirò e si unì ai suoi padri, a centocinque anni dalla sua nascita e quarantaquattro da quando aveva trovato rifugio sul fianco del monte Coltzum.
Il culto del Santo varcò ben presto i confini dell’Egitto e si diffuse in Oriente e in Occidente. Sant’Eutimio il Grande (377-473) eremita, egùmeno (abate), fece celebrare la festa di Antonio in Palestina il 17 gennaio, e fu imitato da Costantinopoli. In Occidente la festa appare segnata il 17 gennaio nel Martirologio geronimiano, erroneamente attribuito a S. Girolamo e in quello del venerabile Beda. I resti mortali di Antonio non riuscirono a riposare in pace. Secondo la Leggenda di Teofilo:“L’imperatore Costanzo aveva una figlia tormentata da nove demoni. Preghiere, esorcismi, tutto inutile. I demoni dichiarano che avrebbero lasciato il corpo della ragazza solo alla vista del corpo di Antonio. Il vescovo Teofilo si reca in Egitto e dopo una rivelazione che indica il luogo della sepoltura, con l’aiuto di due leopardi disseppellisce la tomba e scoperchia il sepolcro. Alla vista del corpo, i demoni fuggono via”.A causa dell’invasione saracena, il corpo del Santo fu traslato nel 635 da Alessandria a Costantinopoli.
“Nel secolo XI l’imperatore Alessio Comnenio donò il corpo al conte francese Jocelin di Chateau Neuf in pellegrinaggio in Terra Santa e portò le reliquie nel Delfinato. Nel 1070 il nobile Guigues de Didier fece costruire una piccola cappella votiva nel villaggio di La Motte, dove vennero riposte le reliquie, che nel 1119 saranno collocate nella Chiesa di Sant’Antonio nella diocesi di Vienna. Dal 1419 le reliquie si trovano nella chiesa parrocchiale di S.Giuliano ad Arles. La fama di guaritore per Antonio ebbe inizio quando due nobili che sostenevano di essere stati guariti dall’ergotismo o febbre bruciante o male degli ardenti o fuoco sacro o fuoco di Sant’Antonio, costruirono un hospitium e fondarono una confraternita per l’assistenza dei pellegrini e dei malati. La confraternita si trasformerà nell’Ordine Ospedaliero dei Canonici Regolari di Sant’Agostino di Sant’Antonio Abate detto comunemente degli Antoniani. Venne approvato da Papa Urbano II al concilio di Clermont nel 1095 e confermato con Bolla papale da Onorio III nel 1218”.

Posted on martedì, dicembre 02, 2014 by Unknown

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2014/06/16

Finalmente arriva l’estate: si chiudono i libri scolastici e si aprono sedie sdraio e ombrelloni. Per noi ragazzi del Liceo Classico “Don F: Cavina” e per il nostro blog è giunto il momento di andare in vacanza. Ma solo per un po’, torneremo di nuovo a settembre con tanti nuovi articoli! Buone vacanze!

Posted on lunedì, giugno 16, 2014 by Unknown

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2014/06/05

«Sono venuto da un Paese lontano ma sempre vicino alla fede comune. Non so se saprò bene esprimermi nella vostra -nella nostra!- lingua italiana, ma se mi sbaglio mi corigerete». Sono le parole che segnano l’inizio del pontificato di Giovanni Paolo II, eletto il 16 ottobre 1978. Parole indimenticate che rivelano già fiducia e sicurezza, ingredienti indispensabili per intraprendere un meraviglioso cammino di fede. Nato a Wadowice , cittadina della Polonia sud-occidentale, il 18 maggio 1920, figlio di un militare e una casalinga, cresce in ambiente pregno di valori tradizionali, patriottici e religiosi, in un Paese, schiacciato tra la Germania e la galassia sovietica, destinato ad essere travolto dal vortice della seconda guerra mondiale. Nominato cardinale nel 1967, diventa Vescovo di Roma undici anni più tardi, dopo il fugace splendore di Papa Luciani , Pontefice per appena 33 giorni e morto in circostanze mai del tutto chiarite. Giovane ed energico, si presenta così alla folla di Piazza San Pietro. Il suo carisma è subito evidente e la simpatia dei fedeli è assicurata. Interlocutori privilegiati sono i giovani, per i quali Wojtyla ‘inventa’ la Giornata Mondiale della Gioventù. Ma la sua popolarità non sempre si traduce in una manifestazione d’affetto: ne è prova l’attentato di cui è vittima nel 1981, dal quale si salverà miracolosamente per intercessione della Santa Madre, alla quale è tanto devoto. Oltre a un’intensa attività pastorale, a caratterizzare il suo pontificato sono le diverse passioni sportive e i frequenti viaggi in giro per il mondo che fanno di lui il «globetrotter di Dio». Passioni, tuttavia, che dovranno fare i conti con le malattie che lo accompagneranno negli ultimi anni di vita: un calvario che dagli anni Novanta si protrae sino al 2005 quando, il 2 aprile, ritorna alla Casa del Padre. Una piazza gremita di gente, proveniente da ogni parte del mondo, si fa “piccola” per porgere l’ultimo saluto al suo Pastore, mentre il vento sfoglia le pagine del Vangelo appoggiato sulla sua umile bara e nell’aria riecheggiano incontrastati i numerosi « Santo subito!». Dovranno passare, in realtà, nove anni perché il Papa polacco venga innalzato alla gloria degli altari, il 27 aprile 2014, insieme a Giovanni XXIII, il “Papa buono”. E la storia si ripete: stessa piazza, stesse emozioni come 36 anni fa. Le telecamere fanno capolino tra migliaia di pellegrini giunti nella Capitale per onorare l’uomo divenuto Santo che, sin dall’inizio, si è rivolto al mondo intero gridando: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Egli sa cosa è dentro l’uomo. Solo lui lo sa!».
Valentina Sgroi

Posted on giovedì, giugno 05, 2014 by Unknown

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2014/05/19

La  storia del nostro paese non è grande solo grazie a uomini, ma anche a donne: un ruolo importante sicuramente l’ha avuto la baronessa Giovannella De Quatris. Non è certa la data della sua nascita, ma si può stabilire intorno al 1444 a Catania, perché nel sarcofago è presente la seguente frase: “Vixit annos LXXXV”cioè “visse 85 anni” e  la data della sua morte, 1529. Il cognome ne rivela le origini  aragonesi. Trasferitasi a Randazzo, in seguito al matrimonio con Pietro Rizzari, non riuscì mai a realizzare il sogno di avere figli. Vivendo e pregando nella chiesa di S. Maria, con gli abitanti di Randazzo, aveva potuto constatare la povertà e la miseria in cui molti vivevano e proprio per questo motivo decise di donare, con atto del 23 marzo 1506,  alla chiesa che tanto amava,  due feudi, Flascio e Brieni nel territorio di Randazzo, affinchè ne venisse realizzato il completamento. Tale chiesa era stata  luogo molto importante per la baronessa perché vi aveva potuto esercitare la fede in Dio con grande devozione. Alla chiesa donò anche suppellettili vari, per l’abbellimento della stessa, come  il famoso libretto scolpito in avorio, all’interno del quale si trovano foglietti in pergamena con delle miniature che rappresentano i misteri della passione  di Cristo e le preghiere da lei recitate, descritte attraverso immagini, in quanto la Baronessa non sapeva leggere, essendo negato alle donne dell’epoca l’apprendimento attraverso la lettura. La generosità di Giovannella è evidenziata dal fatto che la sua eredità si estende non solo alla Chiesa, ma anche alla vita di giovani donne; infatti con il testamento dispose che le giovani nobili decadute usufruissero di lasciti (10 onze il 14 Agosto di ogni anno) per la dote del matrimonio o di monacazione. Un vitalizio di 8 onze all’anno fu lasciato anche al figlio illegittimo del padre. Morto il marito Pietro Rizzari, Giovannella a distanza di un anno si risposò con Andrea Santangelo. Grazie al suo lascito, nella Chiesa di S.Maria, nonostante le controversie con l’ultimo marito, che usufrì del feudo  di Brieni fino alla morte (1560), furono molti i lavori e gli abbellimenti fatti. La chiesa man mano assunse una forma decorosa e monumentale, per le snelle colonne gotiche, i capitelli floreali stilizzati, gli archi acuti, solenni e agili, e infine per l’immagine della bella Madonna di fattura bizantina posta sull’altare. La chiesa fu dotata di altri ornamenti, come nel 1567 l’imponete Ostensorio processionale, in argento dorato, che tuttora fa parte del suo tesoro. Grazie all’eredità della baronessa De Quatris, quindi, si è potuta realizzare la bella Basilica di S.Maria, simbolo del nostro paese.


Anna Bagiante

Posted on lunedì, maggio 19, 2014 by Unknown

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Leader del movimento americano delle suffragette, Alice Stokes Paul nacque a Paulsdale, nel New Jersey, l’11 gennaio 1885. La sua famiglia, aderente al quaccherismo, fin dall’infanzia la educò all’uguaglianza e al rispetto. I valori della perseveranza e del lavoro, considerato uno strumento necessario per il miglioramento della società, formarono la sua coscienza sociale e politica. La madre combatteva in prima persona le battaglie del movimento femminista e la portava spesso agli incontri del National American Women Suffrage Association. A tale associazione s’iscrisse lei stessa dopo la laurea in scienze politiche conseguita nel 1912 all’università della Pennsylvania. In seguito, assieme ad altre femministe, tra cui l’amica Lucy Burns, diede inizio a una campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi con l’intento di estendere il diritto di voto alle donne. Nel 1916 Alice fondò il National Woman's Party e decise di servirsi di alcuni metodi adoperati dal movimento suffragista britannico come manifestazioni, cortei, picchettaggi e scioperi della fame. L'elezione  del presidente Wilson non migliorò la situazione e Alice decise di far valere i suoi propositi e di mostrare il proprio dissenso verso la disuguaglianza di genere organizzando un’azione di protesta. Era il 10 gennaio 1917  quando le Silent Sentinels iniziarono a manifestare davanti alla Casa Bianca con striscioni che reclamavano la libertà delle donne, il loro diritto al voto, la possibilità di avere una voce nel governo. Il 20 ottobre dello stesso anno,  Alice Paul venne arrestata,  con l’accusa di “aver intralciato il traffico", mentre portava uno striscione che citava Wilson: “È giunto il momento di conquistare o sottostare, per noi non può esserci che una scelta. Noi l’abbiamo presa.” Alice venne condannata a sette mesi di prigione. Per protesta iniziò a rifiutare il cibo, fu portata nel reparto psichiatrico del carcere e costretta all'alimentazione forzata. Un medico dell’ospedale diceva di lei: “La sua indole è come quella di Giovanna d'Arco, ed è inutile cercare di cambiarla. Lei morirà, ma non si arrenderà." All’inizio, il presidente Wilson ignorò le sue proteste ma la stampa e le continue manifestazioni lo indussero a cambiare idea e a dichiarare che il suffragio femminile era urgente come misura di guerra. Egli esortò il governo ad approvare la nuova legge: era il 1920 quando finalmente venne approvato il 19° emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America che garantiva il diritto di voto alle donne. Pur dopo il riconoscimento di quel diritto, tanto sognato, Alice, fino alla sua morte (9 luglio 1977), non smise mai di combattere; donna rivoluzionaria e determinata, lottò per raggiungere il traguardo dell’uguaglianza. Dedicò la sua intera vita alla giustizia e al rispetto, valori che fanno di lei una delle più grandi figure morali del secolo scorso, modello di forza e tenacia. Ispirato alla sua vita e alle sue battaglie è il film Angeli d'acciaio (2004). Nel 2012 gli Stati Uniti hanno coniato, in suo onore, una moneta in oro puro da 10 dollari. Quest’ultima appartiene alla serie First Spouse, dedicata alle donne più influenti della storia americana.
Guidotto Michela

Posted on lunedì, maggio 19, 2014 by Unknown

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2014/04/23

Castro dei Volsci (Frosinone), 22 Marzo 1921. Nasceva uno degli attori più amati del cinema italiano: il grande Nino Manfredi. Il suo ricordo, caro alla nostra memoria, è legato alla figura indimenticabile di Geppetto ne ”Le avventure di Pinocchio” di Luigi Comencini del ’72. In maniera profonda e sensibile Manfredi interpreta un padre amorevole, pieno di umanità e pazienza nel prendersi cura del suo ciocco di legno fatto bambino quale Pinocchio. Manfredi, il cui vero nome era Saturnino, per rispettare i voleri della sua famiglia si laurea in Giurisprudenza ma non eserciterà mai la professione. Scoperta la sua inclinazione per il palcoscenico, frequenta l’Accademia Nazionale di Arte Drammatica. Nell’autunno 1947, debutta al Teatro Piccolo di Roma recitando con Eduardo De Filippo e Orazio Costa che considererà sempre il suo maestro. Nel 1959 ottiene un grandioso successo con la sua partecipazione a Canzonissima, creando la macchietta del “barista di Ceccano” la cui battuta “fusse che fusse la vorta bbona” rimarrà nella storia. A partire dal 1960, recitando da protagonista nel film “L’impiegato” di Puccini, diventa una delle colonne portanti della commedia all’italiana, interpretando personaggi ottimisti, destinati alla sconfitta ma non all’umiliazione. Celebre il duetto con Lea Massari in “Roma nun fa’ la stupida stasera” nel Rugantino del ’63. Saranno più di 100 le pellicole da lui interpretate con tanti riconoscimenti alla sua carriera (5 Nastri d’argento e 5 David di Donatello). Fa parte di un gruppo di ladri pasticcioni nel film “L’audace colpo dei soliti ignoti”. Stregone in Africa insieme ad Alberto Sordi (nel ruolo di cognato editore), in “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?”. Recita con Ugo Tognazzi in “Straziami ma di baci saziami” interpretando un barbiere innamorato. Debutta come regista dirigendo l’episodio “L’amore difficile” tratto dall’omonima novella di Calvino, e i film “Per grazia ricevuta” (1971) e “Nudo di donna” (1981). Lavora a fianco di Totò in un film del 1966 intitolato “Operazione San Gennaro”, che  lo vede capo di una banda di ladri, “Dudù”, coraggioso e temerario a tal punto da rubare il leggendario tesoro di San Gennaro, furto sacrilego agli occhi di tutti. Molto attivo alla Radio si esibisce anche come cantante: nel 1970 la sua versione del classico di Petrolini “Tanto pe’ cantà” raggiunge le prime posizioni della hit parade. Manfredi ha popolarità anche come testimonial pubblicitario. Il successo maggiore lo ottiene con gli spot della Lavazza. Sono famosissimi i suoi slogan “Più lo mandi giù più ti tira su” e “Il caffè è un piacere, se non è buono che piacere è?”. Interpreta Giovanni Garofoli, un emigrato italiano in Svizzera in "Pane e cioccolata" di Franco Brusati del '73, un film che mette a confonto due diverse realtà: il "pane" rustico, simbolo di un’Italia che obbliga ad andarsene, e la "cioccolata" emblema del benessere della Svizzera. Un quadro  malinconico, oscillante tra humor e tragedia, che suscita riflessione nello spettatore. Essere italiani appare quasi un "difetto". Manfredi fa ben trasparire, a volte con un sapore amaro, i sacrifici, le difficoltà di integrazione in un paese straniero. Personaggio realistico in cerca della propria identità. Disperato, dopo tante peripezie, disperato decide di rimpatriare ma, in un finale pieno di speranza, scende dal treno di ritorno e decide di non arrendersi mai. Nel '77 è protagonista ne "In nome del Papa re" di Luigi Magni. Il film racconta la storia dell'ultima condanna capitale avvenuta in una Roma del 1867, tre anni prima della Breccia di Porta Pia. Manfredi impersona monsignor Colombo da Priverno, un giudice del Santo Tribunale che osa sfidare  l'autorità di Pio IX. Il suo è un conflitto contro il potere temporale della Chiesa, esercitato in modo ottuso, intransigente, quasi ingiusto. L'attore ciociaro mostra buon senso e determinazione,  attaccato al sacerdozio e credente nei veri valori spirituali e religiosi. Una delle sue migliori interpretazioni che gli procura il David di Donatello. Il suo ultimo ruolo, molto toccante, è quello di Galapago nel film “La fine di un mistero” dove interpreta uno sconosciuto privo di memoria che verrà ricoverato 40 anni in manicomio. Manfredi muore a 83 anni il 4 Giugno 2004. Insieme ad Alberto Sordi, Ugo Tognazzi e Vittorio Grassman è uno dei quattro moschettieri della commedia all’italiana. Sempre ironico, simpatico, divertente, viene definito “personalità artistica ricca e poliedrica”. Il suo carisma lo immortala nella storia cinematografica. Così Nino saluta l’amico Sordi il giorno della sua scomparsa: «Albè, lasciami un posto in Paradiso, così continuiamo a scherzà, sennò m’annoio…»

Guidotto Michela

Posted on mercoledì, aprile 23, 2014 by Unknown

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Luigi Rabatà Uno dei personaggi più celebri di Randazzo, anche se non di sangue randazzese, è Luigi Rabatà. Il suo nome forse non è noto, ma di certo i suoi resti hanno incuriosito da sempre; le sue reliquie sono esposte nella basilica di S. Maria, ma non tutti ne conoscono la storia. Purtroppo non si hanno dati sulla sua vita da beato e forse, anche per questo non è mai stata prodotta una biografia come avvenuto per altri santi o beati. Rabatà nacque a Monte S. Giuliano, l’odierna Erice, nel Trapanese precisamente nell’ anno 1443. Dubbi anche sul suo nome tanto che in alcuni testi viene chiamato Ludovico, in altri il suo cognome non viene neanche indicato. Da grande, dopo aver compiuto il tirocinio filosofico e teologico, diventò sacerdote e venne trasferito a Randazzo, dove visse per qualche tempo accanto a una colonia di ebrei. Di certo si sa che fu il Superiore della comunità dell’ ordine dei Carmelitani di Randazzo; confessore, faceva vita ritirata da eremita. Si interessò anche dell’urbanizzazione del territorio, tanto che viene ricordata la realizzazione di una strada, che dal paese portava al convento del Carmine, situato in quel tempo fuori dalle mura della città. Ciò che faceva per la città non era però gradito a tutti; per questo fu colpito con una freccia in fronte da un signorotto del paese; la ferita dopo vari mesi di sofferenze lo condusse alla morte. Non si seppe mai il nome dell’assassino perché il beato non volle rivelarlo. La morte probabilmente lo colse intorno al 1490, all’età di 47 anni. Dopo la sua morte, si raccontano eventi miracolosi, tra cui il più ricordato, anche per le diverse testimonianze, quello che ebbe protagonista il nobile Ruggero Romeo. Costui, completamente cieco, ottenne la vista di un occhio, cosa che determinò la traslazione del corpo del beato sotto l’altare maggiore della chiesa dei Carmelitani. Dimenticato per quattrocento anni, il 10 Dicembre 1841 venne proclamato beato da papa Gregorio XVI, che ne riconobbe il martirio e i miracoli. Durante il colera, nel 1911, l’arciprete Fisauli, ne invocò la protezione e a lui fu attribuita la miracolosa cessazione del morbo, per cui gli si volle rendere omaggio il 13 Agosto del 1912. Le sue reliquie furono trasferite, con solenne processione e la partecipazione del vescovo, dal Carmine a Santa Maria e, in tale occasione, venne usata l’urna in marmo che era stata disegnata e costruita nel 1890 dallo scultore Giambattista Malerba. Le reliquie si trovano esposte alla venerazione del pubblico sotto la mensa dell’altare dell’Assunta. La patria di origine volle una sua reliquia e ottenne l’osso della gamba; anche Trapani ne desiderò una e ottenne la parte inferiore del teschio. Nella chiesa di Santa Maria, il 13 Agosto si ha la commemorazione liturgica del beato con esposizione di un piccolo quadro del pittore Paolo Recupero che risale al 1915. Ricordiamo Luigi Rabatà come un grande esempio di virtù e umiltà.
Anna Bagiante

Posted on mercoledì, aprile 23, 2014 by Unknown

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2014/04/05

In Ucraina le ribellioni non si fermano e la situazione, già parecchio delicata, rischia di avere conseguenze ancora più gravi a livello internazionale. Le ribellioni hanno acuito le divergenze interne fra filo-russi e filo-europei causando un rapido susseguirsi di sconvolgimenti politici. Infatti, dal 16 Marzo di quest'anno la Crimea, regione da sempre legata alla Russia per motivi storico-politici, si è autoproclamata repubblica autonoma come parte integrante della Federazione russa in seguito a un referendum, la cui validità giuridica è stata però riconosciuta dalla sola Russia. Ma, mentre il tricolore russo sventola su tutte le vecchie basi militari ucraine in Crimea, dall' Aja arriva, come sanzione, la decisione di escludere dal G8 la Russia che, però, si mostra determinata a continuare la sua azione nella comprensione del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Inoltre, le truppe russe, incoraggiate dalla vittoria, si sono spinte al confine con la Transnistria (Moldavia), facendo ritenere che l'obiettivo non è solo la Crimea. Questa forte presa di posizione da parte della Russia ha scatenato la reazione indignata dell'Ue e degli Usa, pronti a fornire supporto all'Ucraina. Una nazione, ormai, divisa a metà tanto che statue di Lenin, in Crimea, vengono difese come manifesto della "russità", mentre, in altre parti del paese, vengono distrutte. La gente  continua a morire, a sparire, a essere torturata e non viene tollerato il dissenso. Qualche giorno fa Andrej Zubov, un professore della blasonata Università MGIMO di Mosca, è stato licenziato per aver paragonato l'annessione della Crimea all'Anschluss dell'Austria durante la seconda guerra mondiale. Lo storico russo è stato tacciato di slealtà nei confronti dell'istituzione per cui lavorava, solo per aver espresso un parere contrastante con il governo. Il clima è, quindi, piuttosto pesante e potrebbe generare una guerra sanguinosa. Non resta che sperare che, dopo le elezioni, l’Ucraina possa dotarsi di un governo capace di conciliare le diverse fazioni del paese e che governi europei e Russia possano cooperare nella ricerca di una soluzione pacifica.

Flavia Di Silvestro

Posted on sabato, aprile 05, 2014 by Unknown

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2014/04/04

Sembra solo un gioco, ma non lo è. Le regole sono semplici: se vieni nominato, dopo aver ringraziato i tuoi amici per la ‘nomination’, devi bere tutto d’un sorso birra o altri superalcolici, ti riprendi e posti il video sul Social Network nominando altri amici. Questi ultimi hanno 24 ore di tempo per accettare o meno: se accettano, dovranno fare a loro volta la stessa cosa, altrimenti saranno costretti a offrire da bere a tutti gli amici. È un effetto domino che sta coinvolgendo moltissimi ragazzi. Per i giovani «è solo un gioco, non c’è nulla di male». Sì, un gioco che ha già provocato 5 morti. In Italia la moda è appena arrivata, ma in alcuni paesi, come Inghilterra, Stati Uniti e Australia, essa ha già le sue vittime. Questo modo di bere è molto pericoloso. Si beve da soli, in camera, davanti una webcam. Si inizia con un bicchiere di birra, fino a bere a stomaco vuoto superalcolici. Tutto ciò per dimostrare di essere forti, o meglio per apparire forti. Ma cosa spinge realmente i ragazzi a compiere questa bravata? Non accettare la ‘nomination’, non sembra apparentemente un grave problema. Ma per chi su Facebook condivide la sua vita non è così. Sui social network tutti sono informati su tutto. Le notizie si diffondono velocemente e quindi, in un modo o in un altro, non si passa inosservati. Conta più apparire che essere. Per un ragazzo, non accettare significa rischiare di essere deriso, di essere escluso dalla comitiva e soprattutto di risultare poco coraggioso, debole. Un ‘semplice gioco’, quindi, diventa una situazione frustrante. Si parla di abuso di alcol e di cyberbullismo. Se riuscire a bloccare la pubblicazione dei video non risulta ancora possibile, c’è chi ha già avuto idee migliori. Molti ragazzi hanno dato vita alla ‘Booknomination’. Anche qui le regole sono semplici: ci si riprende mentre si legge ad alta voce un passo di un libro a cui si è particolarmente legati e si invita altri amici a farlo. Così, in risposta all’alcol, adesso spopola la letteratura.

Giulia Mannino


Posted on venerdì, aprile 04, 2014 by Unknown

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2014/03/20

Prima metà dell’ottocento. Niccolò Paganini, giovane virtuoso violinista italiano, è ormai una star in Europa, dove è acclamato per le sue doti eccezionali e la straordinarietà delle sue esecuzioni. Al seguito di un concerto a Milano, incontra uno strano individuo, Urbani, che gli si propone come manager e gli promette che lo renderà ancora più famoso. Niccolò accetta. Urbani gli fa firmare allora un contratto (o forse un patto…) in cui entrambi si giurano fedeltà reciproca per l’eternità. Dopo aver perso tutti i suoi soldi tra donne, feste, droghe e gioco d’azzardo, vende anche il suo violino. Per fortuna, arriva al momento giusto una lettera da parte di un impresario inglese, John Watson, che gli chiede di recarsi a Londra per una tournée. All’arrivo in città, gli è impossibile alloggiare nell’albergo previsto, a causa di una folla di protestanti che lo accusano di aver fatto un patto con il diavolo in cambio di talento e successo. Watson allora decide di ospitarlo in casa propria. Qui Niccolò conosce la figlia dell’impresario, Charlotte, giovane e talentuosa cantante lirica. Di lei si innamora, sia per la bellezza, che per la voce angelica. Le propone di cantare un’aria da lui composta: Io Ti Penso Amore. Fra i due nasce un profondo legame. Niccolò, per la prima volta, riesce ad aprirsi e a mostrarsi per ciò che veramente è, facendosi conoscere non come star, ma come persona che vive attraverso la sua musica: “tutto ciò che sento, che sono, che voglio essere, lo metto nella musica”. Il concerto si tiene dopo pochi giorni. Niccolò oltre ad eseguire molte delle sue composizioni più famose, come il Capriccio n° 24 o il concerto denominato La Campanella, chiama sul palco Charlotte per cantare l’aria insieme provata. Il concerto è un successo ma, subito dopo, si crea uno scandalo: sembra che Paganini abbia abusato della giovane ragazza. In realtà è tutto un malinteso, creato da Urbani per far sciogliere il loro rapporto. Infatti i due perderanno per sempre i contatti, prendendo strade diverse. Charlotte diventerà una famosa cantante lirica e sposerà un altro uomo. Niccolò, dopo aver licenziato Urbani, si ritirerà a Genova, sua città natale. Qui, anche se la sifilide e la tubercolosi lo affliggono, scrive tutte le partiture e variazioni dei suoi numerosi concerti e capricci, cosa che mai aveva fatto. Infatti durante i suoi concerti, improvvisava moltissimo, negandosi alla richiesta di ripetere un brano già eseguito (da qui la famosa citazione “Paganini non ripete”). Nel letto di morte rifiuta l’estrema unzione e muore con il suo violino tra le braccia. Verrà sepolto in terra consacrata solo molti anni più tardi. Storia intrigante quella di Paganini, piena di misteri e leggende, tra mito e realtà. Il regista Bernard Rose ha voluto innanzitutto non un attore professionista, ma un violinista professionista, che sapesse davvero impugnare il violino senza usare quindi una controfigura. Ruolo fatto apposta per il giovane violinista statunitense-tedesco David Garrett, famoso in tutto il mondo per aver saputo ben interpretare il violinista genovese, nonostante fosse la sua prima esperienza da attore. Il film non può essere definito un capolavoro cinematografico, ma la parte musicale, ricca delle composizioni più note di Paganini, compensa senza dubbio ciò che manca da parte della regia. Il Violinista del Diavolo si concentra più sulla seconda parte della vita di Paganini, vissuta tra donne, gioco d’azzardo e musica. Rose ha cercato di rendere la biografia del famoso musicista più vicina possibile alla realtà, per quanto essa sia compromessa da leggende e credenze false, come il famoso patto con il diavolo,  che alla fine del film potrebbe identificarsi con Urbani (interpretato da Jared Harris). Queste leggende e diavolerie associate a Paganini erano anche frutto dell’ignoranza del tempo. Essendo infatti incomprensibile come riuscisse a suonare con tanta velocità, agilità, eccezionale virtuosismo e tecnica strabiliante (spesso rompendo, durante i concerti, tre delle quattro corde e riuscendo a finire il concerto sull’ultima corda superstite) l’unica possibile spiegazione da darsi era quella di una presenza maligna dentro di lui. In realtà a provocare tutto ciò era un’altra delle patologie da cui era affetto:  una malattia del tessuto connettivo che giocò, però, a suo favore. Questa gli rese infatti le dita flessibili, lunghissime e agilissime, permettendogli di suonare il violino come nessuno aveva mai fatto prima. Nonostante le controversie legate alla sua vita, Paganini è ancor oggi considerato il più grande violinista di tutti i tempi, o come lo ha definito David Garrett “la prima Rockstar della storia, un genio eccentrico, un Jimi Hendrix della sua epoca”.

Alice Romano

Posted on giovedì, marzo 20, 2014 by Unknown

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Il romanzo di Robert Louis Stevenson, “The strange case of dr. Jekyll & mr. Hyde”, pubblicato nel 1886, è uno dei capolavori dell’autore. Gli elementi dell’opera, tra cui il genere letterario, lo rendono romanzo molto particolare. Considerato precursore del romanzo poliziesco è anche annoverato tra i classici della letteratura fantastica. Per la difficile catalogazione e la struttura a più voci narranti esso, nonostante la brevità, è opera ricca di contenuti su cui soffermarsi. Tematica principale è la scissione dell’animo umano in Bene e Male, in Giusto e Malvagio; un ‘topos’ presente pienamente nel personaggio del dottor Jekyll, che cerca di trovare un metodo per eliminare la sua parte malvagia in modo da potersi concentrare unicamente sugli studi “onesti”. La tematica conduce inevitabilmente allo sviluppo del doppio, riscontrabile nella persona di Jekyll/Hyde. Il  bipolarismo è insito nella personalità umana e l’intento proprio del romanzo è di mettere in evidenza la lotta che avviene tra la parte buona e quella malefica, dimostrando che una tende sempre a prevalere sull’altra. Il romanzo di Stevenson risulta essere lettura piacevole, scorrevole e interessante grazie anche a personaggi psicologicamente ben descritti. La storia è ambientata in una Londra sfocata e indefinita con l’unico scopo di riflettere le nebbiose emozioni dei protagonisti.


Antonio Mandara

Posted on giovedì, marzo 20, 2014 by Unknown

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2014/03/12

Dal gennaio del 2011 l’Etna e in particolare il Nuovo Cratere di SE è stato protagonista di quarantasei episodi di fontane di lava che facevano intuire agli esperti, come negli anni 1999-2001, l’inizio di una nuova eruzione del maestoso vulcano. Dopo l’ultimo parossismo del 29-31 dicembre 2013, l’Etna è stata caratterizzata da una continua emissione di cenere a carico del cono terminale di NE tra il 4 e il 13 gennaio. Dopo pochi giorni di quiescenza il 22 gennaio ha inizio una nuova eruzione di lunga durata. I dati che si riportato di seguito sono tratti dagli aggiornamenti giornalieri eseguiti dagli esperti dell’INGV di Catania. Nella tarda serata del 22 gennaio 2014 il NCSE (Nuovo Cratere di SE) è caratterizzato da una modesta attività stromboliana accompagnata dall’emissione di una colata lavica da due bocche ubicate sulla base nord-orientale del cratere. Questo flusso lavico poco alimentato si arresterà dopo aver percorso poche centinaia di metri il 23 gennaio nella Valle del Bove, ma l’attività eruttiva riprenderà nella tarda serata dello stesso giorno. Il NCSE durante il 25 gennaio è stato caratterizzato da una forte attività stromboliana che provoca l’emissione di notevoli quantità di materiale piroclastico e da una modesta attività effusiva che ha prodotto una colata lavica che ha percorso la parete occidentale della Valle del Bove.  Il 26 gennaio l’emissione di cenere vulcanica resta a carico del NCSE e la continua attività effusiva continua incessantemente dal 22 gennaio. Il giorno successivo il flusso lavico attivo da giorni si arresta a causa della ridotta emissione di lava. L’attività effusiva riprenderà vigore nella serata del 3 febbraio e il giorno successivo anche l’attività esplosiva che causerà getti di lava alti fino a 100 metri e una notevole emissione di materiale piroclastico che persisterà nei giorni a seguire. Il 9 febbraio l’intensificazione dell’emissione lavica provocherà il graduale aumento del campo lavico. Il 10 febbraio sia ha l’apertura di una terza bocca eruttiva alla base del cratere di NE. L’11 febbraio alle ore 05:07 locali crolla parte del NCSE formando un flusso piroclastico che in meno di un minuto ha raggiunto il terreno pianeggiante sul fondo della Valle del Bove. Il fenomeno è stato causato dall’indebolimento del cratere da parte delle bocche eruttive attive dal 22 febbraio. Il vento che spirava da sud-est ha provocando la ricaduta del materiale più minuto nell’abitato di Randazzo.


 Immagini riprese dalla telecamera termica dell’INGV – CT ubicata a Monte Cagliato sul versante orientale che mostrano l’evoluzione del flusso piroclastico del 11 febbraio 2014.


Successivamente l’emissione lavica si è localizzata nella parte centrale della nicchia di distacco creatasi durante l’evento franoso. Il 15 febbraio alle ore 10:08 locali un’esplosione ha interessato la Bocca Nuova con l’emissione di vapore acqueo misto a cenere vulcanica. Nei primi giorni di marzo il campo lavico si è allargato ed alcuni bracci di lava hanno coperto parte delle lave emesse durante l’eruzione del 2008-2009. Negli ultimi giorni l’eruzione è stata caratterizzata dalla sovrapposizione dei nuovi flussi lavici su quelli già raffreddati.


Guglielmo Manitta

Posted on mercoledì, marzo 12, 2014 by Unknown

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Raccolta di nove racconti scritta dal celebre Isaac Asimov. Fa parte del famosissimo ‘ciclo dei robot’ dell'autore russo. Ambientazione extraterrestre e tanta tecnologia. Protagonisti della storia sono i robot positronici e le ‘tre leggi della robotica’:

  •  Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.
  • Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.
  • Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge. 

Dopo quasi un secolo dalla creazione del primo robot, la gente fatica ad accettare questi automi preferendo vivere in pianeti lontani e lasciando che si occupino delle mansioni più faticose: dal lavorare in miniera a gestire le stazioni interstellari, sempre sotto la stretta supervisione degli umani. Ma cosa rende questo libro particolare? Tema fondamentale è in che modo i robot si rapportano alle tre leggi e come gli umani interagiscono con essi. L'umanità  non riesce  ad accettarli e li ‘snobba’, ritenendoli inferiori malgrado essi abbiano migliorato di gran lunga la qualità della loro vita. I racconti  iniziano con la dott.ssa Susan Calvin, robot-psicologa, che fin da ragazzina studia il comportamento e i 'sentimenti' degli automi e i fatti si svolgono, tra varie peripezie e scene che sfiorano la comicità, toccando momenti della sua vita. La fantasia di Asimov è sorprendente. Basti pensare che questi racconti, già nel periodo della seconda guerra mondiale, narrano di stazioni spaziali, automi autosufficienti e uso di vari elementi presenti in pianeti come Mercurio, elaborando anche un sistema con cui autoalimentare le macchine e utilizzare pannelli fotovoltaici. Un ‘classico’, quindi, da non perdere. Il genio di Asimov e la sua brillante narrazione non possono che coinvolgere il lettore, anche il meno appassionato del genere.

Francesca Ferretti

Posted on mercoledì, marzo 12, 2014 by Unknown

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“Il mondo giallo” è il primo libro di Albert Espinosa, uno dei più famosi scrittori e registi spagnoli. L’autore racconta in questo libro alcuni episodi della sua giovinezza segnata dalla malattia.  Nonostante ciò Albert “possiede un senso dell’umorismo speciale, proprio come il suo modo di vivere la vita” e infatti non c’è nulla di doloroso in queste pagine. Con un linguaggio semplice e lineare, l’autore riesce a introdurre concetti apparentemente semplici, ma realmente molto complessi. Il libro è diviso in quattro parti: per cominciare, per continuare, per vivere, per riposare. Inizialmente l’autore parla del mondo giallo, il suo mondo, un mondo a portata di tutti, “un posto caldo, dove i baci possono durare dieci minuti, dove gli sconosciuti possono diventare i tuoi più grandi alleati, dove la paura perde significato, dove la vita è un bene prezioso”, e questo mondo è fatto di lezioni, in determinati momenti della vita, che vengono chiamate  “scoperte”; in tutto ventitré, proprio come i gialli che ognuno di noi possiede. I gialli sono quelle persone che “si collocano tra gli amici e gli amori. Non è necessario vederli spesso, ma si interagisce con loro attraverso i gesti d’affetto”.Da questo libro Espinosa ha poi tratto una fiction spagnola “Pulseras rojas”, i cui diritti sono stati acquistati dalla Rai e da Palomar, che ne hanno tratto una fiction di Rai 1, “Braccialetti Rossi”, con la regia di Giacomo Campiotti. Questa fiction è riuscita a delineare il rapporto che intercorre tra i gialli: sei ragazzi decidono di formare un gruppo all’interno di un ospedale, i Braccialetti Rossi, tra loro si instaura un legame che va oltre l’amicizia, ma che non è amore, un legame giallo, contrassegnato dalla presenza di un braccialetto rosso al polso di ognuno di loro. Nel gruppo sono presenti: Leo, il leader, un ragazzo a cui è stata amputata una gamba a causa di un tumore; un vice-leader, Vale, affetto dallo stesso tumore del primo; la ragazza, Cris, malata di anoressia; il bello, Davide, ragazzino affetto da una malattia al cuore; l’imprescindibile (quello che non può mancare mai), Rocco, bambino in coma; e il furbo, Tony, un ragazzino che ha avuto un incidente con la moto. Leo corrisponde ad Albert, sia per la sua malattia, sia per il suo carattere ironico e coraggioso; mentre Vale, pur avendo lo stesso problema non ha l’esperienza e la voglia di vivere di Leo, ma è un ragazzo dolce e sensibile. Cris è la ragazza contesa tra i due, un po’ capricciosa e indecisa, ma che alla fine riuscirà a prendere una decisione. Davide è un ragazzino che vuole predominare sui suoi coetanei, ma all’interno dell’ospedale si rende conto dei suoi errori e decide di rimediare. Infine Rocco e Tony, strettamente legati perché Tony riuscendo a sentire cose che gli altri non sentono, sente anche la voce di Rocco, nonostante il suo sonno. Il gruppo segue le “scoperte” che Espinosa rivela nel suo libro: durante la loro permanenza in ospedale perdono l’amico Davide, ma questo insegna a tutti loro che “le perdite sono positive e possono diventare delle conquiste. Quando perdi qualcosa, convinciti che non stai perdendo, ma stai guadagnando una perdita”. Infatti i ragazzi decidono di dividersi la vita di Davide, ad ognuno toccherà il 20% della sua età, “un patto indimenticabile, straordinario; comunque fosse andata avremmo continuato a vivere attraverso gli altri”. Questa persona sarebbe sempre stata dentro di loro e tutti avrebbero tentato di rendergli giustizia. Alla fine i ragazzi riescono a tornare a casa, tranne Rocco, appena svegliatosi. Resteranno in ospedale ancora un po’ Leo e Albert. Guardando quel braccialetto rosso, nel cuore di tutti resterà il ricordo di un’amicizia unica. Una storia commovente ma anche con quel pizzico di ironia da far emozionare col sorriso sulle labbra.

Miriana Tornatore

Posted on mercoledì, marzo 12, 2014 by Unknown

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Il 2014, da pochi mesi, ha fatto il suo ingresso. Iniziano le scommesse su cosa andrà di tendenza in questo nuovo anno. La risposta, però, sembra non provenire da fashion houses o aziende informatiche. Ecco cosa andrà di moda: avere sempre meno conoscenze umanistiche. La crisi economica, che da molto tempo grava sull’Italia, pare stia interessando anche questo settore. Nelle settimane scorse impazzava sul web la notizia che sarebbe stata eliminata la Storia dell’Arte dagli istituti italiani. Stessa sorte, a distanza di pochi giorni, per altre materie umanistiche tra cui la filosofia. Molte le forme di protesta. Il Ministero dell’Istruzione subito smentisce e l’ex ministro  Carrozza nega tutto su Twitter. La notizia, però, non è nuova. Niente che già non si sapesse. Le ore di insegnamento di Storia dell’Arte, infatti, erano già state ridotte nel 2008 dalla Riforma Gelmini nei licei classici e  artistici e negli istituti professionali.La notizia del febbraio 2014 si è dunque rivelata una bufala, che ha permesso, tuttavia, di riflettere sulla poca importanza che in Italia e in altri Stati viene attribuita a tale disciplina. Il presidente degli Stati Uniti, in visita a un impianto della General Electric, afferma: «I ragazzi dovrebbero imparare i lavori manuali, vanno incoraggiati in questa direzione, perché pagano bene e spesso sono più utili di una laurea in Storia dell’Arte». Levata di critiche dal mondo letterario, il presidente si scusa. La mancanza di prospettive lavorative è ciò che rende l’opinione comune così critica nei confronti dell’ambito umanistico, che progressivamente sta perdendo valore.I dati parlano chiaro: le iscrizioni ai licei classici negli ultimi anni sono drasticamente diminuite.Lo Stato dovrebbe, però, rendersi conto che la cultura è il petrolio e la ricchezza dell’Italia. Bisognerebbe, dunque, valorizzare di più il patrimonio culturale e farlo apprezzare ai giovani, perché a rendere ‘persona’ è tutto il sapere


Chiara Iraci

Posted on mercoledì, marzo 12, 2014 by Unknown

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2014/03/07

“Mille splendidi soli” è un romanzo di Khaled Hosseini, l’autore de “Il cacciatore d’aquiloni” e “E l’eco rispose”. È stato pubblicato da Edizioni Piemme nel 2007 e tradotto da Isabella Vaj. Il romanzo racconta di due donne diverse, Mariam e Laila, in una terra tormentata dalla guerra, l’Afghanistan. Proprio ‘grazie’ a questa guerra che fa scempio, le vite di queste due ragazze s’intrecciano in una condivisione di esperienze e affetti. Mariam, una ‘harami’ (figlia illegittima) è stata cresciuta da una madre che ha sempre creduto ci fosse una solo abilità per le donne afghane, il ‘tahamul’ (la sopportazione), e che l’istruzione non le sarebbe mai servita. Laila, chiamata ‘la ragazza rivoluzionaria’ perché  nata la notte del colpo di stato dell’aprile 1978, é una ‘pari’. La sua famiglia ha mentalità più aperta e il  padre ha sempre sostenuto che la cosa più importante fosse darle un’istruzione poiché «una società non ha nessuna possibilità di progredire se le sue donne sono ignoranti». Nel momento in cui si trovano a sfuggire un crudele destino, tra le due donne si stabilisce una forte intesa, che all’inizio mancava forse a causa della diversa educazione ricevuta e delle diverse storie vissute. Lo scrittore trascina il lettore in un vortice di emozioni, a volte rabbia ma anche speranza quando vince la forza dell’amicizia e dell’amore. Ci mostra un Afghanistan che, al di là degli orrori della guerra e della violenza, il lettore finirà per amare, immergendosi nelle tradizioni e nelle abitudini del suo popolo; un popolo che, pur nella sua semplice quotidianità, manifesta carattere e tanta voglia di risollevarsi dalle macerie. Nel libro, si racconta anche la dura realtà della donna afghana, sottomessa all’autorità maschile, costretta a indossare il burqa e a non mostrare il viso in nessuna circostanza, soggetta a divieti di ogni tipo, che la privano della sua stessa identità, negandole ogni ruolo sia fuori che dentro casa. Un libro consigliato perché denso di colpi di scena e di emozioni forti, incredibilmente coinvolgente e imprevedibile e soprattutto profondo. «Non si possono contare le lune che brillano sui suoi tetti, né i mille splendidi soli che si nascondono dietro i suoi muri».
Michela Guidotto

Giulia Mannino

Posted on venerdì, marzo 07, 2014 by Unknown

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Padova, 10/02/2014- Una quattordicenne si suicida lanciandosi dall'ultimo piano  di un  vecchio albergo a Cittadella, nel padovano. Allarmati da un biglietto che la ragazzina aveva lasciato alla nonna, i genitori si sono subito recati sul luogo del suicidio, ma ormai era troppo tardi. Ma cosa può aver spinto una quattordicenne a farla finita così?
Scrive "La Stampa": « Frasi, parole, insulti pesanti come un macigno digitati con una cattiveria a cui è difficile trovare un senso». Questo fenomeno, spesso sottovalutato, si chiama cyberbullismo. Succede quando i social network diventano vere e proprie ‘piazze dell'odio’ in cui i bulli, forti del loro anonimato, sfogano tutta la loro cattiveria. La vittima di cyberbullismo si sente costantemente rintracciabile e per verificare eventuali minacce o insulti le è sufficiente collegarsi a qualsiasi mezzo elettronico utilizzato dal cyberbullo. Gli esiti di queste molestie senza fine possono essere terribili e ispirare nella vittima addirittura tendenze suicide. Proprio come è successo a Nadia, che è stata ‘incapace’ di sopportare il peso gravoso di questi insulti. Non è da escludere che  frasi del genere possano in qualche modo aver trasformato le paure e le insicurezze tipiche dell'adolescenza in certezze. Nadia aveva provato a cercare sicurezza negli amici su Ask.fm: dai post emergeva il silenzioso grido di aiuto della ragazza; un grido d'aiuto che nessuno ha ascoltato. Adesso, nel mirino degli inquirenti, c'è il sito Ask.fm già sotto accusa in Inghilterra, su richiesta del primo ministro David Cameron, dopo un caso analogo. Le più alte istituzioni italiane si sono pronunciate sull'argomento, sostenendo la necessità di un uso più controllato dei social network. Ma come mai bisogna sempre aspettare tragedie simili per intervenire? L'uso controllato dei mezzi elettronici dovrebbe essere accompagnato da una campagna di sensibilizzazione volta a dimostrare ai ragazzi quanto male possano provocare se, in rete, si trasformano in un branco sadico. Quando si è in rete, infatti, spesso non ci si rende conto di quello che si può provocare e di conseguenza si scrivono cose che, probabilmente, non si direbbero mai. Stavolta, però, le istituzioni sembrano determinate a mantenere le promesse fatte. Infatti, qualche giorno fa, è stato aperto presso il  Policlinico Gemelli di Roma il primo ambulatorio che si propone di stroncare il fenomeno del  cyberbullismo.  L’ambulatorio, nato dalla collaborazione fra l’ospedale e la polizia postale, si occuperà, non solo delle vittime, ma anche dei bulli. Scopo di questo duplice intervento, infatti, spiegano gli esperti, è  da un lato quello di aiutare le vittime e dall'altro quello di rendere i bulli consapevoli del danno da loro commesso. In conclusione, non resta che augurarsi che tale attività contro il cyberbullismo abbia seguito e che possa essere efficace in modo che casi come quello di Nadia non si verifichino più.

Flavia Di Silvestro

Posted on venerdì, marzo 07, 2014 by Unknown

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2014/02/25

Roma, 21 febbraio. Presentato in Quirinale il toto-nomi. Dopo due ore e mezzo di colloquio con il Presidente della Repubblica, Renzi scioglie la riserva: sedici ministri per un team giovane e omogeneo. Ma per Stefania Giannini, neo reggente del Ministero dell’Istruzione, il lavoro pareva essere iniziato ancor prima della sua nomina alla guida del delicato dicastero. In una lettera indirizzata lo scorso venerdì al Presidente del Consiglio, infatti, la Conferenza dei rettori universitari italiani segnala quattro urgenze non «rinviabili»: un piano straordinario per i giovani migliori, la reale garanzia del diritto allo studio, una più solida alleanza fra atenei e imprese e la tanto sospirata semplificazione amministrativa. Negli ultimi cinque anni, come sottolinea il Crui, sono stati ben 10.000 i ricercatori a rimanere fuori dalle università per il continuo blocco del turnover. E non c’è da meravigliarsi se i nostri cervelli, di fronte alla fredda indifferenza delle istituzioni italiane, preferiscano migrare verso paesi che riservino loro una più calda accoglienza. Ancor più grave risulta poi la sospensione latente di cui pare essere vittima l’articolo 34 della Costituzione. Affermano i rettori «Un giovane su quattro non può studiare all’università per censo, anche se ne ha il diritto» . Ma anche i restanti “tre fortunati” non sono esenti dalle spiacevoli conseguenze di un sistema che oramai fa acqua da tutte le parti: così, chi vorrebbe e meriterebbe spesso non può accedere ai livelli più alti dell’istruzione e chi, d’altra parte, vi destina impegno e risorse trova sprangate le porte del “magico” mondo del lavoro, configuratosi in un universo parallelo (forse raggiungibile attraverso l’“infinito” buco nero della crisi?) agli occhi dei giovani italiani. Per questo, ammonisce la missiva, «servono politiche che attraverso azioni di defiscalizzazione incentivino un rapporto più stretto fra Università e imprese» in quanto «il Paese non cresce se non si rafforza l’alleanza tra formazione e mondo del lavoro». Infine il Crui rivendica la necessità di sconfiggere quel «delirio normativo senza logica», nemico di ogni libertà di movimento e progettualità degli atenei. Fra le altre, dunque, anche queste quattro le priorità che la neonata compagine governativa è chiamata ad affrontare. «Si è perso troppo tempo» dichiara infatti la lettera nella sua parte conclusiva. E l’augurio è che siano proprio i tempi e il resto della futile combriccola di sprechi, spese, lusinghe e ipocrisie a subire una drastica ondata di tagli. Nella speranza che la scossa che oggi muove il Parlamento non si trasmuti in maremoto…

Corina Lanza
                                                                                                                   


Posted on martedì, febbraio 25, 2014 by Unknown

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Il Carnevale, la festa tanto attesa da bambini e ragazzi, ha avuto inizio in molte città d’Italia lo scorso 15 Febbraio 2014. A Viareggio è stato sparato il triplice colpo di cannone: Burlamacco ha già preso possesso della sua città, che per un mese diventerà “una fabbrica di divertimento”, tra sfilate, spettacoli, feste notturne ed eventi sportivi mondiali. La cerimonia d’apertura in piazza Mazzini ha avuto come tematica  lo scorrere delle stagioni; d'altronde il Carnevale comincia quando l’Inverno sta per lasciare il suo posto alla Primavera. I colossali carri di cartapesta oltre alla satira politica e alla crisi economica hanno come temi la magia, il mito di Atlantide, i sogni della gente, l’omaggio a John Lennon e a Freddy Mercury. È atteso il carnevale rinascimentale a Ferrara, dove, sabato 1 Marzo 2014 con una magnifica sfilata in abiti cinquecenteschi sarà ricordato l’arrivo in città di Lucrezia Borgia nel Febbraio del 1502. Ma il sogno è a Venezia. Il Carnevale veneziano, quest’anno incentrato sul fiabesco e sulla natura fantastica si è aperto con una straordinaria “zombie walk”. Il corteo di morti viventi ha attraversato barcollando le calli e i ponti della città. Dalla festa dell’acqua al volo dell’angelo, nella città si terranno nelle prossime settimane sfilate giornaliere in costume, concerti e rappresentazioni teatrali.Ma sicuramente l’evento artistico più esclusivo che unirà star, attori e celebrità da tutto il mondo sarà “Il Ballo del Doge” che si svolgerà sabato 1 marzo 2014 a Palazzo Pisani Moretta. Il tema prescelto per la sua XXI edizione è “because dreaming is an Art”. L’ambiente sarà diviso in tre piani, dedicati rispettivamente al desiderio, al mondo onirico e al gotico. La partecipazione ha come dress code il costume d’epoca, per una magica serata che, tra danze e performance artistiche, è più un sogno che una realtà. E per noi? Naturalmente è `d’obbligo` andare ad Acireale, dove ogni anno si svolge il più bel carnevale di Sicilia.

Guidotto Michela

Posted on martedì, febbraio 25, 2014 by Unknown

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2014/02/20

Scoperto l’antidoto contro le rivalità: il McDonald’s-

9 Febbraio 2014. Gli americani vogliono la rivincita sui vietnamiti! A distanza di alcuni decenni tornano in campo con una nuova arma e, questa volta, vincente: gli hamburger del McDonald’s.  L’azienda statunitense, con franchising in tutto il mondo, fa colpo anche sugli abitanti dell’attuale Ho Chi Minh City (ex Saigon) che, dimentichi delle antiche ostilità accolgono calorosamente gli ex-nemici.  La città, infatti , nel corso degli anni ’50 era stata scenario di violenti conflitti che videro come protagonisti il Vietnam del Nord e il Vietnam del Sud. I primi, comunisti, intendevano conquistare e diffondere le loro ideologie nel Meridione che, “fragile e impaurito”, ha patuto per fortuna contare sull’aiuto dei tanto temuti Stati Uniti.  Ma i nord-vietnamiti non persero le speranze e, con l’arrivo dei rinforzi, URSS e Cina, ottennero la vittoria sugli invincibili americani, costretti a tornare in patria a testa bassa. Oggi, dopo aver testato sandwich e hot-dog nei vari Paesi del Pianeta, gli Usa, certi dell’irresistibile gusto dei loro prodotti, inaugurano il McDonald’s a Ho Chi Minh. E i vietnamiti abboccano: file chilometriche di ragazzi non vedono l’ora di assaporare le specialità dei vecchi avversari. La clientela che intende accattivare l’impresa a stelle e strisce è, infatti, la giovane classe media di un Paese in via di sviluppo che, a quanto pare, intende confrontarsi con altri paesi già avanzati come gli Stati Uniti.  A destare stupore è stato l’affidamento in gestione del marchio al vietnamita Henry Nguyen, genero del premier Nguyen Tan Dug, fuggito negli States insieme alla famiglia quando i vietcong ottennero il potere a Saigon. Avendo un debole per gli hamburger non ha potuto rinunciare alla proposta e, adesso, il fast-food è nelle sue mani. Ce la farà o darà forse un duro colpo agli americani? La gente è ottimista e spera che il logo dell’azienda, divenuto ormai simbolo di pace, possa tenere testa alle precedenti ostilità. 

Giulia Triscari

Posted on giovedì, febbraio 20, 2014 by Unknown

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